Atto amministrativo – Accesso ai documenti – Sopravvenienza della legge sulla «privacy» – Abrogazione parziale della normativa sulla trasparenza – Esclusione (L. 7 agosto 1990 n. 241, nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, art. 22, L.31 dicembre 1996 n. 675, tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, art. 43).
La L.31 dicembre 1996 n. 675, sulla tutela dei dati personali, non ha abrogato la vigente disciplina in tema di accesso ai documenti amministrativi; ne deriva l'ultravigenza della normativa del 1990 sia in punto di giurisdiziorie del gtudice amministrativo, sia in tema di rapporto tra tutela della riservatezza e principio di trasparenza dell'azione amministrativa. (1)
Diritto.
1.- Con il ricorso in esame, la società ricorrente agisce in giudizio al fine di ottenere, ai sensi dell'art 25 L. 7 agosto 1990 n 241, l'accesso alla documentazione clinica in possesso dell'Inail relativa agli ex dipendenti Fernando Ciampa e Giuseppe
Baldassarre e presentata dagli stessi al fine di ottenere l'indennizzabilità di alcune malattie denunciate come professionali; l'istante chiede, inoltre, che venga disposta la sospensione dei procedimenti in corso diretti a valutare detta indennizzabilità ed il riconoscimento del suo diritto di intervenire nei predetti procedimenti, previa disapplicazione e/o annullamento dell'art. 4, ultimo comma, del regolamento dell'Inail per la disciplina della modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso, pubblicato sulla G.U. n. 228 del 29 settembre 1994.
In definitiva, è stato chiesto al collegio di disporre l'immediata sospensione dei predetti procedimenti in corso, di ordinare all'lnail di far prendere visione alla ricorrente degIi atti – o meglio di accedere tramite il medico a ciò abilitato alle analisi cliniche presentate dai predetti ex dipendenti dirette ad accertare la presenza di piombo nelle urine e nel sangue e di consentire alla stessa di intervenire nei procedimenti; in via solo subordinata (ed eventuale) è stato chiesto, infine, l'annullamento delI' art. 4 del summenzionato regolamento dell'Inail.
2. – Di questione analoga a quella ora all'esame il collegio ha, invero, già avuto modo di occuparsi.
E con sentenza 30 aprile 1994 n. 257 passata in giudicato in difetto di appello – questa stessa sezione ha già ritenuto fondata la richicsta di un datore dl lavoro di accedere a quegli specifici atti del procedimento strettamente necessari «per curare o per difendere i propri interessi» al fine di opporsi alla indennizzabilità della malattia professionale denunciata da un proprio dipendente; in tale occasione, in accoglimento del ricorso proposto, è stato ordinato – ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 25 L. 7 agosto 1990 n. 241 – al direttore della sede provinciale dell'Inail di consentire l'esame degli atti del procedimento e di sospendere il procedimento per un periodo di tempo tale da consentire alla parte ricorrente di esaminare gli atti richiesti e, ove lo avesse ritenuto, di intervenire nel procedimento.
Successivamente alla pubblicazione di tale decisione sono, però, intervenute alcune rilevanti modificazioni normative, che necessariamente impongono al collegio di riesaminare la vicenda: da un lato é stato, infatti pubblicato il predetto regolamento dell'lnail per la disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso, emanato in attuazione della L. 7 agosto 1990 n. 241 e del D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352, che nelle previsioni contenute nel suo art. 4 è stato anche oggetto di impugnativa e dall'altra è entrata in vigore la L. 31 dicembre 1996 n. 675, recante norme volte a tutelare il rispetto al trattamento dei dati personali.
In aggiunta – deve ulteriormente ricordarsi – successivamente alla predetta decisione sono intervenute numerose pronunce del giudice di appello che hanno meglio puntualizzato in quali ambiti il diritto di accesso ai documenti amministrativi possa prevalere sull'esigenza di riservatezza del terzo.
3. In via pregiudiziale debbono necessariamente esaminarsi le eccezioni di rito dedotte dal controinteressato e dalla amministrazione resistente.
E preliminarmente debbono essere esaminate le eccezioni con le quali è stata lamentata carenza di interesse in capo alla ricorrente ad accedere agli atti richiesti e ciò anche in relazione al fatto che la società ricorrente avrebbe cessato la propria attività.
Sul punto deve ricordarsi che la L. 7 agosto 1990 n. 241 dispone da un lato che l'avvio del procedimento debba essere comunicato «ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti» e dall'altro che ha diritto ad intervenire nel procedimento «qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento»; l'art. 22, riconosce, poi, il diritto di accesso ai documenti a «chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti».
Ora, interpretando tale normativa, la giurisprudenza amministrativa ha dichiarato da un lato che l'accesso in parola si atteggia come un'azione popolare diretta a consentire una sorta di controllo generalizzato sull'amministrazione e dall'altro che il presupposto dell'accesso è costituito dalla sussistenza di una situazione giuridicamente tutelata, nonché di un interesse che legittimi il soggetto istante ad agire per la tutela di quella situazione, interesse, peraltro, non limitato alla titolarità di una posiziorie che legittimerebbe il soggetto ad agire giudizialmente e cioè alla titolarità di una posizione strettamente personale di diritto soggettivo o di interesse legittimo.
E la stessa giurisprudenza, pronunciandosi proprio in relazione all'accesso degli atti dei procedimenti diretti a valutare l'indennizzabilità di malattie denunciate come professionali, ha già pacificamente riconosciuto che il datore di lavoro ha un indubbio interesse a partecipare al procedimento di riconoscimento di infortunio sul lavoro del dipendente (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 5 gennaio 1995, n 12, Foro it., 1995.III, 387) e ciò in relazione non solo ai pregiudizi che potrebbero derivare da tale riconoscimento (quale, ad esempio, l'aumento del tasso di premio applicato), ma anche alla concreta possibilità – una volta conosciuti gli atti – di svolgere quella specifica tutela delle condizioni di lavoro imposta all'imprenditore dall'art. 2087 c.c.
Di quì l'indubbia utilità per il datore di lavoro di acquisire copia degli atti del procedimento e di intervenire nello stesso, al fine proprio di evitare sul nascere il prodursi dei predetti pregiudizi, senza dover poi svolgere la particolare procedura disciplinata dall'art. 39 D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 e dall'art. 8 D.leg. 30 giugno 1994 n. 479, per ottenere la riduzione del premio.
Il controinteressato contesta, però, che nel caso di specie sussista tale interesse poichè la ricorrente avrebbe allo stato cessato la propria attività.
Tale assunto – deve subito rilevarsi – appare, però, sfornito dell'imprescindibile supporto probatorio.
Agli atti di causa risultano depositati alcuni atti (anche di provenienza dell'Inail) da cui sì evince in senso contrario a tale assunto, da un lato che alla ricorrente sono state chieste specifiche informative in ordine all'attività espletata dai predetti ex dipendenti e dall'altro che la ricorrente ha continuato ad effettuare anche nell'anno in corso versamenti di premi all'Inail.
La società istante ha, invero, al riguardo riconosciuto alla camera di consiglio del 20 novembre 1997 di avere temporaneamente sospeso la propria attività produttiva nello stabilimento di Bussi – ove prestavano la propria attività lavorativa i due dipendenti in questione – ma ha decisamente smentito l'affermazione secondo cui avrebbe cessato in via definitiva la propria attività.
Per cui, allo stato degli atti, non può di certo disconoscersi la sussistenza in capo all'istante di un interesse ad accedere agli atti richiesti.
4. – Con ulteriori specifiche eccezioni l'amministrazione resistente ha anche opposto i seguenti rilievi:
– che sarebbe inapplicabile il rito di cui all'art. 25, 6° comma, L.7 agosto 1990 n. 241, relativamente all'impugnativa del predetto regolamento dell'lnail per la disciplina delle modalità dì esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso, pubblicato sulla G.U. n. 228 del 29 settembre 1994;
– che il gravame sarebbe tardivo per parte diretta avverso il tale regolamento;
– che, in ogni caso, non sarebbero stati impugnati gli art. 6 e 19 di tale regolamento, che si pongono quali ostativi all'accoglimento della richiesta di accesso.
Anche tali eccezioni sono prive di pregio.
Deve, al riguardo, meglio precisarsi che l'impugnativa del predetto regolamento non costituisce la pretesa azionata in via principale con il gravame ora all'esame, ma detta impugnativa (in alternativa ad una eventuale disapplicazione delle norme regolamentari eventualmente illegittime) è stata prospettata solo come subordinata ed eventuale.
Ciò chiarito, ai fini della valutazione di tali eccezioni occorre necessariamente vagliare la rilevanza che nella vicenda ora all'esame assume tale regolamento, con il quale sono state analiticamente disciplinate le modalità di esercizio ed i casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministratìvi dell'istituto.
In particolare, con tale normativa – in sede di individuazione dei soggetti titolari del diritto di accesso – è stato testualmente disposto all'art. 4, 3° comma, ultima parte, che «quando il diritto di accesso concerne informazioni di carattere sanitario, queste non possono essere comunicate che alla persona fisica interessata o al medico da quest'ultima designato». Con il successivo art. 6 è stato, poi, previsto che sono sottratti all'accesso i documenti «la cui divulgazione possa recare un pregiudizio concreto al diritto alla riservatezza di persone fisiche» con particolare riferimento, tra l'altro, agli interessi sanitari; mentre l'art. 19 ha sottratto all'accesso «la documentazione sanitaria con riferimento ad anamnesi, referti, particolari tipologie di lesioni o di patologie che comportano la violazione del diritto alla riservatezza».
Tali disposizioni emanate dall'Inail in attuazione della L. 7 agosto 1990 n. 241 e del D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352, che sarebbero ostative – ad avviso della resistente – all'accesso del datore di lavoro alla documentazione sanitaria, avrebbero dovuto essere impugnate con un ricorso svolto secondo il «rito ordinario» e non con il rito speciale di cui all'art. 25, 6° comma, L.7 agosto 1990 n. 241; in aggiunta, si eccepisce che l'eventuale gravame avrebbe dovuto essere tempestivamente proposto ed avrebbe dovuto avere ad oggetto anche gli art. 6 e 19 direttamente lesivi del diritto azionato con la richiesta di accesso.
Ritiene sul punto il collegio che a tale regolamento non possa attribuirsi quella specifica rilevanza che la resistente suppone, né che tale regolamento così come formulato sia ostativo, in termini assoluti, all'accoglimento della pretesa vantata.
Giova in merito innanzi tutto rilevare che – così come evidenziato dalla ricorrente – la disposizione contentita nel predetto art. 4 è già stata annullata con sentenza del Tar Lazio, sez. III, 9 gennaio 1997, n. 201, e tale sentenza – come concordemente riconosciuto dalle parti costituite – non risulta essere stata impugnata o sospesa dal giudice d'appello.
Ora, poiché con tale decisione allo stato immediatamente esecutiva è stato annullato – nella parte che quì interessa – un atto di natura regolamentare, appare evidente che tale annullamento possa necessariamente produrre i propri effetti erga omnes e sia destinato, quindi ad esplicare i propri effetti anche nel giudizio in esame.
E' noto, infatti, che – così come costantemente puntualizzato dalla giurisprudenza – la sfera di efficacia soggettiva della sentenza amministrativa di annullamento va differentemente individuata a seconda che si abbia riguardo alla sua parte dispositiva (cassatoria dell'atto), ovvero a quella ordinaria (prescritt-va); infatti, in ordine alla prima la pronuncia non può che fare stato erga omnes, mentre in ordine alla seconda la pronuncia fa stato unicamente fra le parti. Conseguentemente, è stato precisato che l'annullamento in sede giurisdizionale di atti amministrativi normativi ha effetti erga omnes che incide, quindi, alle successive pronunzie giurisdizionali rese anche tra parti diverse.
Ora, poichè la predetta pronuncia ha annullato relativamente a tale aspetto la norma regolamentate in questione, appare evidente che tale norma, in quanto cassata dall'ordinamento giuridico, non possa assumere alcun rilievo in questa sede.
Con riferimento a tale considerazione appare allora evidente come in relazione all'impugnativa di tale norma sia cessata la materia del contendere e, pertanto, appaiono irrilevanti in merito le predette eccezioni di rito.
Quanto, invece, alla contestata mancata impugnazione dei predetti art. 6 e 19 dello stesso regolamento, deve osservarsi che tali norme non si pongono come ostative, in termini assoluti, all'accoglimento della pretesa vantata.
Se pur vero, infatti, che con l'art. 6, al comma, sono stati in via generale sottratti all'accesso i documenti «la cui divulgazione possa recare un pregiudizio concreto al diritto alla riservatezza di persone fisiche» con particolare riferimento, tra l'altro, agli interessi sanitari, nell'ultima parte dello stesso comma di tale articolo si dispone anche che «deve comunque essere garantita agli interessati la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i loro interessi giuridici».
Ugualmente, l'art. 19 ha sì sottratto all'accesso «la documentazione sanitaria», ma tale eclusione non è stata prevista in termini assoluti, in quanto l'esclusione è stata limitata esclusivamente «con riferimento ad anamnesi, referti, particolari tipologie di lesioni o di patologie che comportano la violazione del diritto alla riservatezza».
In definitiva, con le norme in questione nella determinazione dei criteri per la individuazione dei casi di esclusione del diritto di accesso non si vieta in termini assoluti l'accesso alla documentazione sanitaria in possesso dell'istituto e ciò in quanto da un lato si fa riferimento ad eventuali determinazioni da assumere caso per caso in relazione all'eventuale «pregiudizio concreto» arrecato o alle «particolari tipologie di lesioni o di patologie» da cui è affetto il soggetto e dall'altra si ribadisce che deve «comunque» essere garantita agli interessati la visione degli atti dei procedimenti amministrativi «la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i loro interessi giuridici».
La mancata impugnativa di tali norme non assume, pertanto, specifico rilievo ai fini della presente decisione.
5. – Così risolte tali questioni pregiudiziali può passarsi all'esame nel merito delle richieste contenute nel ricorso, richieste che – appare ulteriormente ribadire – sono dirette non solo ad accedere agli atti del procedimento, ma anche ad ottenere la sospensione del procedimento e la declaratoria del diritto della ricorrente ad intervenire nel procedimento.
In relazione a tali richieste 1'lnail nel suo scritto difensivo ha opposto in via prioritaria da un lato l'inesistenza di una normativa che consenta la partecipazione del datore di lavoro o di un suo sanitario in sede di attività medico-legali relative alla persona del lavoratore e dall'altro il c.d. diritto alla riservatezza del lavoratore, oggi riaffermato dalla recente L.31 dicembre 1996 n. 675.
Tali rilievi, deve subito precisarsi, non hanno pregio.
Quanto alla opposta considerazione che la normativa vigente (il t.u. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124) non consente la partecipazione del datore di lavoro o di un suo sanitario in sede di attività medico-legali relative alla persona del lavoratore deve osservarsi che il fondamento normativo della pretesa di cui al gravame è stato individuato dalla ricorrente proprio nella L.7 agosto 1990 n. 241, che – per effetto dcl principio generale della successione delle leggi nel tempo – ha indubbiamente abrogato sul punto la normativa previgente con essa incompatibile.
Tale rilievo non considera, inoltre, i compiti e le responsabilità che incombono sull'imprenditore ai fini della tutela dell'integrità fisica del lavoratore secondo le prescrizioni derivanti degli art. 32 e 41 Cost., dell'art. 2087 c.c. e degli art. 1, 4 e 31 D.leg. 19 settembre 1994 n. 626.
ln aggiunta, deve anche ricordarsi che proprio detto d.leg. 626/94 ha oggi imposto al datore di lavoro specifici obblighi in ordine alla adozione delle misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori (cfr., in specie, gli art. 4, 8-11, 16, 17 e 21), imponendo allo stesso di conoscere – sia pur non direttamente, ma a mezzo di soggetti a ciò qualificati (il medico abilitato alle visite periodiche) – le condizioni di salute dei lavoratori.
Quanto, poi, alla tutela del diritto alla riservatezza deve ricordarsi che l'art. 24, n. 2, lett. d), L. n. 241 pone tra i beni per la cui salvaguardia il diritto di accesso può essere escluso proprio «la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese»; purtuttavia tale norma precisa anche che deve essere garantita «peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici».
Ugualmente l'art 8, n. 5, lett. d), D.P.R. n. 352 prevede la possibilità di sottrarre all'accesso i documenti riguardanti «la vita privata o la riservatezza di persone fisiche» con particolare riferimento anche agli interessi sanitari «ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono»; anche tale norma, però, dispone che debba «comunque essere garantita ai richiedenti la visione dagli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro stessi interessi».
In definitiva, la normativa vigente non garantisce il diritto alla riservatezza in termini assoluti, ma prevede che tale diritto receda in presenza di un opposto diritto all'accesso, nel senso cioè che il diritto di accesso va riconosciuto solo nei limiti nei quali esso sia rispondente all'interesse che, a norma dell'art. 22, 1° comma, L. n. 241 lo legittima, nel senso cioè che tale interesse costituisce al contempo fondamento e delimitazione della pretesa.
Ed è stato al riguardo autorevolmente chiarito che il diritto di accesso ai documenti amministrativi prevale sull'esigenza di riservalezza del terzo ogniqualvolta l'accesso venga in rilievo per la cura e la difesa degli interessi giuridici del richiedente (Cons. Stato, ad plen. 4 febbraio 1997, n 5, id., 1997, III, 199, e, da ultimo, sez. VI 3 giugno 1997, n. 843 e sez. IV 9 ottobre 1997, n. 1128)
Nè tali conclusioni possono ritenersi oggi incompatibili con i principi recentemente affermati dalla recente L. 31 dicembre 1996 n. 675, recante norme a tutela delle persone rispetto al «trattamento dei dati personali».
Tale legge ha, invero, oggi analiticamente disciplinato la materia riconoscendo specifici diritti dell'interessato nel momento non solo della raccolta, ma anche e soprattutto nel momento della diffusione dei dati personali, istituendo a sovrintendere la materia apposito Garante per la protezione dei dati personali. Uno specifico interesse ha riservato, in particolare, la legge al trattamento dei dati idonei a rivelare lo stato di salute del soggetto disponendo che tali dati possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell'interessato e previa autorizzazione del Garante (art. 22 e 23), mentre – relativamente al trattamento di tali dati da parte dei soggetti pubblici – è stato testualmente disposto all'art. 27, 3° comma, che «la comunicazione e la diffusione dei dati personali da parte di soggetti pubblici a privati o a enti pubblici economici sono ammesse solo se previste da norme di legge o di regolamento».
La stessa legge all'art. 29, 8° comma, ha previsto, infine, che «tutte le controversie, ivi comprese quelle inerenti al rilascio della autorizzazione di cui all'art. 22, 1° comma, o che riguardano comunque l'applicazione della presente legge sono di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria».
Tale legge – ad avviso della sezione – non appare, però, rilevante ai fini del decidere nè per dedurre un'eventuale carenza di giurisdizione di questo tribunale in ordine agli specifici interessi coinvolti (trattamento di dati personali), nè relativamente al merito della pretesa vantata.
Decisive, in merito, appaiono le disposizioni contenute nell'art. 43 della stessa legge al cui 2° comma è stato precisato che «restano ferme le disposizioni della L. 20 maggio 1970 n. 300, e successive modificazioni, nonché, in quanto compatibili, le disposizioni della L.5 giugno 1990 n. 135, e successive modificazioni, del D.leg. 6 settembre 1989 n. 322, nonché le vigenti norme in materia di accesso al documenti amministrativi ed agli archivi di Stato».
Tale norma, cioè, nella parte in cui ha disposto che restano ferme «le vigenti norme in materia di accesso ai documenti amministrativi» ha inteso far salva – ad avviso del collegio – tutta la normativa vigente in ordine al diritto dì accesso, e ciò sia in ordine alla sussistenza della giurisdizione dì questo tribunale a conoscere della materia e sia in relazione ai rapporti tra il diritto alla riservatezza ed i principi della trasparenza dell'attività amministrativa e della «conoscibilità» degli atti e dei documenti amministrativi, di cui il diritto all'accesso costituisce un corollario.
La norma in questione, invero, nel mentre prevede che restino ferme con l'inciso «in quanto compatibili» alcune specifiche disposizioni di legge, non riporta tale inciso nel momento in cui richiama il diritto di accesso, un diritto che, pertanto, non è stato in alcun modo inciso dalla nuova L. n. 675, e ciò in relazìone proprio alla pari rilevanza attribuita ai principi della tutela della riservatezza, della trasparenza dell'azione amministrativa e del diritto di agire con giudizio per difesa dei propri interessi da parte del terzo.
In ogni caso giova anche considerare che con recente provvedimento 19 novembre 1997 il Garante per la protezione dei dati personali ha assentito l'autorizzazione n. 1/97 al trattamento dei dati sensibili nel rapporto di lavoro.
Con tale autorizzazione «generale» è stato, invero, consentito il trattamento a favore del datore di lavoro (ed anche a mezzo, come nel caso di specie, del medico competente) dei dati sensibili del lavoratore relativi al suo stato di salute e, in particolare, alle malattie professionali, ove tale trattamento sia necessario per far valere un diritto in sede giudiziaria.
E tali considerazioni inducono, infine, a ritenere manifestamente infondata la questione – posta dall'amministrazione resistente – di legittimità costituzionale dell'art. 24, 2° comma, lett. a), L. n. 241 nella parte in cui consentirebbe la visione degli atti malgrado le altrui esigenze di riservatezza, con riferimento agli art. 2, 3,10, 14, 15, 21, 29 e 41 della Carta costituzionale.
Nel porre tale questione non considera, infatti, la resistente innanzi tutto che altra norma ugualmente di rango costituzionale impone che nell'organizzazione della pubblica amministrazione siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità e che tali obiettivi possono essere realizzati proprio con la trasparenza e, in definitiva, con il riconoscimento del diritto di accesso. Nè, d'altro canto, il diritto alla riservatezza può ritenersi essere stato tutelato dalla Costituzione – ed anche dalla recente L. n. 675/96 – in termini così assoluti da impedire ogni ingerenza nella privacy. Al contrario, la stessa recente normativa a tutela della riservatezza prevede specifici casi di esclusione del consenso del soggetto interessato per il trattamento dei dati personali (cfr. gli art, 12, 14, 20).
Quando poi – come nel caso di specie – è lo stesso soggetto privato che attiva un procedimento amministrativo per ottenerne dei vantaggi che vengono ad incidere sfavorevolmente anche su dei terzi, il diritto alla riservatezza non può non recedere in presenza del diritto alla difesa e alla tutela della posizione del terzo, che costituisce anch'esso un diritto costituzionalmente garantito; il diritto alla difesa è riconosciuto, infatti, quale «diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento» (art. 24, 20 comma).
6. – Giunti a tale conclusione e per passare all'esame in concreto degli interessi contrapposti (del lavoratore alla riservatezza e del datore di lavoro ad opporsi alla indennizzabilità della malattia professionale denunciata) ritiene la sezione che, con specifico riferimento al predetto dato normativo, non possa disconoscersi il diritto dell'azienda ad accedere a quegli specifici atti del procedimento strettamente necessari «per curare o per difendere i propri interessi» così come sopra indicati; in particolare, deve dichiararsi il diritto della società ricorrente ad accedere agli atti richiesti – così come, peraltro, espressamente richiesto con il ricorso – a mezzo del medico abilitato alle visite periodiche.
In aggiunta, deve ulteriomente ricordarsi che con il ricorso in esame proposto ai sensi dell'art. 25, 6° comma, L. 7 agosto 1990 n. 241, l'istante ha non solo chiesto l'accesso agli atti del procedimento, ma anche la sospensione del procedimento in corso ed il riconoscimento del suo diritto di intervenire nel procedimento stesso.
A tali ultime richieste di sospensione del procedimento e di riconoscimento del diritto ad intervenire nel procedimento potrebbe, invero, opporsi l'inapplicabilità in relazione a tali pretese della procedura di cui al predetto art. 25, in quanto la tutela giurisdizionale prevista da tale norma riguarderebbe il solo diritto di accesso ai documenti e non anche il c.d. accesso partecipativo di cui agli art. 9 e 10 della stessa legge.
Ora, va, in mcrito osservato in via preliminare che con la L.7 agosto 1990 n. 241, il legislatore ha voluto realizzare un nuovo stile nei rapporti tra privato e pubblica amministrazione garantendo da un lato comportamenti dell'amministrazione più solleciti, comprensibili e coerenti e dall'altro un più intenso coinvolgimento degli interessati nelle procedure amministrative, in particolare, va sottolineata la dimensione partecipativa che la L. n. 241/90, per la parte che qui interessa, ha inteso attribuire al procedimento amministrativo, sganciandolo dalla mera dialettica delle posizioni necessariamente contrapposte. E tale dimensione spiega proprio la facoltà di intervento nel procedimento, ampiamente riconosciuta dalla legge; intervento che a sua volta consente l'accesso alla documentazione della amministrazione, così come, all'inverso, deve ritenersi che l'accesso possa essere chiesto proprio per valutare l'opportunità di intervenire nel procedimento.
Quanto poi al diritto di accesso va ricordato che il capo quinto della legge – di portata generale, in quanto concerne non soltanto il procedimento – consente a tutti ed in ogni tempo (nel rispetto dei limiti previsti dalla normativa) la «conoscibilità» de8li atti e documenti amministrativi, compresi quelli interni al procedimento (c.d. conoscibilità erga omnes dell'azione amministrativa).
L'accesso, nella sua enunciazione normativa, è stato qualificato in definitiva come una situazione soggettiva potestativa, che correda la sfera del singolo nelle relazioni con l'apparato amministrativo, una situazione attiva di vasta portata, che estende la capacità soggettiva e la possibilità cognitiva dei singoli amministrati in direzione della pubblica amministrazione nel senso più ampio del termine.
L'indicazione nella legge dì una disciplina specifica dell'accesso agli atti amministrativi evidenzia, in particolare, come si sia inteso configurare una nuova generale funzione dell'amministrazione, che trova il proprio fondamento oltre che nei principi di pubblicità e di tutela delle posizioni giuridiche dei cittadini, direttamente nel principio di imparzialità; sotto questo profilo l'accesso se da una parte obbedisce allo scopo di garantire i diritti dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione, dall'altro costituisce un modo di assicurare la qualità stessa dell'azione amministrativa (la sua imparzialità) e risponde, pertanto, ad un interesse che è proprio della stessa amministrazione.
In tal modo inteso, il diritto di accesso costituisce una situazione giuridica diversa rispetto al mero diritto dì prendere conoscenza degli atti amministrativi in relazione alla difesa dei propri interessi; si tratta, infatti, di un diritto ad una informazione qualificata, non riconosciuto, peraltro, in via generale a tutti i cittadini, ma in relazione ad una specifica legittimazione, individuata nella tutela di situazioni giuridicamente rilevanti.
Così delineata la posizione giuridica in esame deve ulteriormente ricordarsi che questa stessa sezione con la predetta sentenza 30 aprile 1994, n. 257, ha già avuto modo di affermare che – nonostante la possibilità di una teorica differenziazione classificatoria tra diritto di visione (previsto dall'art, I0, 1° comma, lett. a, della legge) e diritto di accesso (contemplato dall'art. 22) – la tutela che la legge accorda a tale situazione soggettiva appare unica, tanto se essa si manifesti in sede partecipativa al procedimento, tanto se attenga alla conoscenza di documenti amministrativi. E la chiave di volta per un corretto raccordo delle due norme (art. 10 e 22) è stata individuata nella «riserva» contenuta nell'inciso dell'ultima parte della lett. a) dell'art. l0, che fa espressamente salve le statuizioni del successivo art. 24 senza alcuna limitazione.
Ed in tale «salvezza» è stato individuato l'indubbio segno di complementarità della intera normativa del capo V (relativo all'accesso ai documenti) al capo III (concernente la partecipazione).
Conseguentemente, si è già ritenuto che, pur in presenza di due differenti situazioni giuridiche (l'una attinente alla fase di formazione del provvedimento amministrativo e l'altra attinente ai documenti amministrativi già formati), unico è il diritto di accesso previsto dalle due norme ed analogo è lo scopo del riconoscimento in entrambi i casi di assicurare la trasparenza dell'azione amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale per la tutela di situazioni rilevanti.
Tale unicità risulta, poi, ribadita dall'art. 2 D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352, lì ove si chiarisce che il diritto di accesso si esercita anche «con riferimento agli atti del procedimento ed anche durante il corso dello stesso».
In relazione a quanto sopra chiarito appare allora evidente alla sezione che nel giudizio proposto al sensi dell'art. 25, 6° comma, L.7 agosto 1990 n. 241, possa non solo essere chiesta la visione degli atti del procedimento, ma – proprio perché nello svolgimento del procedimento sia garantita l'effettiva tutela della posizione giuridica in esame – anche la sospensione del procedimento fino a che non sia soddisfatta la pretesa di esaminare gli atti.
Ove, infatti, il tribunale si limitasse ad ordinare la sola esibizione dei documenti e l'amministrazione potesse nel frattempo consentire l'ulteriore corso del procedimento, il diritto di prendere visione degli atti del procedimento di cui all'art. 10, lett. a) – di certo strumentale all'esercizio del diritto di intervento nel procedimento di cui alla successiva lett. b) – potrebbe nella sostanza essere vanificato.
Nè avrebbero pregio le argomentazioni difensive secondo cui la richiesta di sospensione del procedimento non sarebbe ancorata a dati normativi e si risolverebbe in danno di una terza persona (il lavoratore, che ha presentato l'istanza che ha dato avvio al procedimento) e non della ricorrente.
Ad avviso del collegio, infatti, proprio l'unicità del diritto di accesso previsto dai capi III e V della legge e la particolare esigenza in entrambi i casi di assicurare la trasparenza dell'azione amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale per la tutela di situazioni rilevanti impongono alla amministrazione di sospendere il procedimento e ciò al fine garantire l'effettiva tutela della posizione giuridica in esame, mediante la richiesta visione degli atti.
Quanto, poi, al richiesto riconoscimento del diritto della ricorrente di intervenire nel procedimento e dell'obbligo della amministrazione di valutare eventuali memorie presentate, deve rilevarsi che allo stato la lesione degli interessi della ricorrente si è prodotta esclusivamente in relazione al mancato accesso agli atti: non risulta, invero, che l'istante abbia prodotto memorie. Resta, peraltro, inteso che ove la ricorrente dopo aver esaminato gli atti, presenti memorie e documenti, l'amministrazione non potrà non valutare tali atti pena l'illegittimità degli atti adottati.
7. – Concludendo, alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso in esame deve essere accolto nel senso sopra chiarito e, per l'effetto, deve – ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 25 L.7 agosto 1990 n. 241 – ordinarsi al direttore della sede di Pescara dell'Inail di consentire alla ricorrente l'esame tramite sanitario da essa designato degli atti richiesti e di comunicare alla stessa, con congruo avviso, la data ed il luogo in cui tali atti possono essere esaminati. Deve, inoltre, ordinarsi allo stesso di sospendere il procedimento per un periodo di tempo tale da consentire alla ricorrente dì esaminare gli atti richiesti e, ove lo ritenga, di intervenire nei predetti procedimenti.
(1) La pronunzia odierna costituisce, per quanto consta, il primo arresto giurisprudenziale sulla delicata problematica dei rapporti tra trasparenza dell'azione amministrativa e tutela della riservatezza a seguito dell'avvento della novella del 1996 in tema di tutela dei dati personali. Dalle colonne di questa rivista (F. CARINGELLA, Riservatezza ed accesso ai documenti amministrativi a cavallo tra parametri costituzionali ed oscillazioni legislative, in nota al provvedimento 16 settembre 1997 del Garante per la protezione dei dati personali, Foro it., 1997, III, 558) si è di recente posto l'accento sulla molteplicità e, soprattutto, sull'imperscrutabilità degli effetti della normativa in parola sugli sbocchi sperimentali in sede legislativa ed interpretativa al fine di sciogliere il nodo gordiano del contrasto tra interesse pubblico alI'informazione e aspirazione privata alla riservatezza in ordine ai dati intimi della vita privata e relazionale.
Segnatarnente, nello scrutinare le molteplici angolazioni dello scontro tra i valori scolpiti dall'art. 21 e dall'art. 2 Cost. suscettibili di potenziale rivisitazione, si è paventato il rischio di un ritorno al passato per quel che afferisce al microcosmo dei rapporti tra pubblicità dell'azione amministrativa e privacy del singolo di volta in volta coinvolto dall'ostensione delle maglie dell'agere dei pubblici poteri. Materia, questa, che sembrava aver recuperato, dopo non pochi tormenti ermeneutici, una sua stabilità per effetto della pronuncia dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato 4 febbraio 1997, n. 5, ibid., 199, la quale aveva concluso nel senso che l'accesso, ove necessario per la cura o difesa di interessi giuridici, prevale sulla riservatezza, incontrando il limite modale dell'eserclzio in forme meno invasive dell'estrazione di copia integrale del documento per il quale si agisce ad exhibendum.
Ebbene, in un panorama scosso da fremiti di novità, il tribunale amministrativo, investito dalla richiesta di un datore di lavoro di accedere alla documentazione clinica relativa a due ex dipendenti al fine di partecipare cognita causa ai procedimenti volti ad indennizzare i soggetti in questione per malattie denunciate come professionali, è chiamato a dare risposta all'interrogativo immediatamente emerso all'indomani della legge sulla protezione dei dati, id est quello relativo all'ascrivibilità a quest'ultima di un effetto parzialmente abrogativo della legge del 1990 nella parte in cui, come interpretata dalla richiamata giurisprudenza, quest'ultima sancisce la prevalenza dell'accesso sulla riservatezza con i temperamenti di cui si è detto.
A sostegno dell'opzione negativa i giudici di prime cure valorizzano il dettato dell'art. 43, cpv., L. 675/96, che fa expressis verbis salve le vigenti norme in tema di accesso ai documenti amministrativi ed agli archivi di Stato. Né assume rilievo in senso contrario la clausola di compatibilità recata dalla norma di cui trattasi essendo la medesima riferita ad altre disposizioni e non richiamata in via esplicita in tema di accesso. Traendo linfa da tale presupposto normativo, irrobustito dal tenore del provvedimento 19 novembre 1997 del Garante in tema di arnmissione del trattamento dei dati sensibili relativi alla salute del lavoratore da parte del datore, ilTar conclude per un verso nel senso della permanenza della giurisdizione amministrativa in materia di accesso nonostante la devoluzione al giudice ordinario da parte dell'art. 29 L. 675/96 del contenzioso relativo all'applicazione della legge stessa, per altro verso nel senso della non incisione dei descritti equilibri tra privacy ed accesso. Poche battute vengono dedicate alla questione di ccstituzionalità di un assetto normativo che rischia di sacrificare il valore della riservatezza: questione liquidata con la valorizzazione dello spessore costituzionale dei beni del buon andamento e dell'imparzialità amrninistrativa alla cui protezione è funzionale il principio di trasparenza.
Fin quì la pronuncia del giudice amministrativo.
Sul versante della tenuta del sistema è fuor di dubbio che la linea interpretativa abbracciata scongiura il rischio che il bilanciarnento tra i valori costituzionali debba essere risolto con un nuovo irrigidimento del sistema, ossia con la sistematica prevalenza del diritto alla riservatezza, nel suo nocciolo duro, sul diritto di accesso e, soprattutto, sui referenti costituzionali, primo tra tutti l'art. 21 Cost., da quest'ultimo presidiati. Si fuga soprattutto il timore di una improbabile fuga verso un passato sancita dall'azzeramento di un humus sociale «sempre più sospettoso della cultura del .segreto ed ansioso di pervenire a livelli di partecipazione democratica realrnente appaganti» (testualmente, Cons. Stato, sez. IV, 17 giugno 1991, n. 649, Urbanistica e appalti, 1997, 1218).
Il circuito argomentativo seguito dai giudici abruzzesi, si impernia su di un approccio letterale all'art. 43 della legge del 1996, che nega l'estensibilità della clausola di compatibitità a tutte le discipline richiamate dalla norma. Più in generale, l'affermazione secondo cui la L. n. 675/96 ha lasciato tutto come prima nella materia che ci interessa appare difficilrnente sincronizzabile con l'emersione di un'impalcatura nella quale la penetrazione della sfera intima della persona deve passare per le forche caudine del consenso dell'interessato e dell'autorizzazione del garante
PRETURA DI ROMA; decreto 25 ottobre 1997; Giud. TOTI; Ugl. Federazione provinciale sanità c. Soc. Casa di cura S. Lucia.
Sindacati, libertà e attività sindacale – Condotta antisindacale – Lavoro straordinario – Comunicazione dei dati – Rifiuto del datore di lavoro – Disciplina della protezione dei dati personali – Consenso dei singoli – Mancanza – Legittimità
(L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 28; l. 31 dicembre 1996 n. 675, tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, art. 12).
Non integra gli estremi della condotta antisindacale il comportamento del datore di lavoro il quale rifiuta di comunicare al sindacato i dati relativi all'effettuazione del lavoro straordinario da parte dei dipendenti in assenza di un consenso di questi ultimi reso ai sensi della l. 31 dicembre 1996 n. 675, sul trattamento dei dati personali.
Con ricorso depositato il 24 giugno 1997 la Ugl, federazione provinciale sanità, esponeva di aver richiesto più volte, tramite il segretario provinciale, il tabulato delle prestazioni di lavoro straordinario effettuato da ciascun dipendente della casa di cura S. Lucia s.r.l. durante gli anni 1995, 1996 e 1997, con la specifica delle competenze spettanti rimaste insolute.
La casa di cura S. Lucia aveva, però, rifiutato di consegnare la documentazione richiesta.
Il sindacato precisava che il fine della richiesta era quello di verificare il corretto uso dell'istituto del
lavoro straordinario, la cui regolamentazione è documentata dalla contrattazione collettiva alla contrattazione decentrata.
La Ugl, pertanto, conveniva davanti a questo pretore la casa di cura S. Lucia s.r.l. per sentir dichiarare antisindacale il comportamento denunciato.
La società convenuta, regolarmente costituitasi, chiedeva, il rigetto del ricorso sostenendo che il rifiuto di consegnare la documentazione richiesta era giustificata dalla richiesta riservata dalle informazioni ai sensi della l. 31 dicembre 1996 n. 675.
A parere del giudicante il ricorso non può essere accolto.
Il rifiuto della società convenuta di consegnare la documentazione relativa al lavoro straordinario di tutti i dipendenti appare, infatti, pienamente giustificata alla luce della recente normativa per la tutela delle persone rispetto al trattamento dei reati personali.
L'art. 1, lett. c), l. 31 dicembre 1996 n. 675 precisa che per dato personale deve intendersi «qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente ed associazione».
In considerazione dell'ampia definizione legislativa non sembra dubbio, pertanto, che anche i dati relativi al lavoro straordinario prestato ed ai relativi compensi rientrino tra quelli presi in esame dalla suddetta normativa, che ne consente l'utilizzo solo quando vi sia «il consenso espresso dell'interessato».
L'art. 12 esclude la necessità del consenso qualora il trattamento «è necessario per l'esecuzione di obblighi derivanti da un contratto del quale è parte l'interessato».
Nella fattispecie in esame è pacifico che molti dei lavoratori che hanno prestato lavoro straordinario non sono neppure iscritti al sindacato ricorrente e, quindi
, non sono parte del contratto dal quale deriverebbe il diritto del sindacato di controllare le ore di lavoro straordinario effettivamente svolte dai dipendenti della societa convenuta.
Il ricorso va, pertanto, respinto.